La Cassazione Penale (2019) ha condannato a 10 mesi di reclusione un uomo che a più riprese aveva minacciato, molestato e offeso una donna con post pubblicati su Facebook e leggibili da tutti.
Tali comportamenti integrano il reato di STALKING.

Nel caso in oggetto le offese e le minacce non solo erano rivolte alla donna ma anche ai suoi famigliari ed a persone a lei vicine.
In Cassazione l’imputato ha contestato il reato in quanto secondo la sua prospettazione
la vittima non aveva sofferto di alcun grave e perdurante stato d’ansia, né di un
cambiamento delle sue abitudini di vita. Inoltre ha evidenziato di aver intrattenuto con la donna numerose conversazioni e mantenuto contatti di vario tipo, che la stessa gli aveva concesso il suo numero di telefono e che, solo una volta, gli aveva impedito ogni
interferenza con i suoi profili Facebook utilizzando la procedura di “banning”.
Ma in realtà la donna era stata costretta a modificare le proprie abitudini di vita: aveva dovuto chiedere spesso l’aiuto di amici per farsi accompagnare a casa, temendo le intrusioni dello stalker, era stata costretta a installare un blocco in entrata nelle chiamate in arrivo dei propri apparecchi telefonici e, infine, aveva dovuto giustificarsi continuamente con i suoi contatti, anche di lavoro, a causa delle continue diffamazioni formulate dall’imputato sui social network.
Un ulteriore elemento significativo connota la motivazione della pronuncia: la Cassazione ha ritenuto che la colpevolezza non è mitigata dal fatto che all’interno del periodo di vessazione la persona offesa abbia in alcune occasioni ripristinato il dialogo con il persecutore (cfr. Cass. n. 5313/2014).