Due interventi della Cassazione ( ordinanza del luglio 2019 pubblicata a gennaio 2020 e ordinanza del marzo 2020 ) in procedimenti promossi dal genitore affidatario e volti ad ottenere un incremento del quantum stabilito dalla Corte di Appello, ripropongono i principi cardine che devono essere considerati dai giudici di merito per la determinazione del contributo al mantenimento .
Nel primo caso la Corte di Appello nel procedimento di divorzio riconosce un significativo incremento dell’assegno di mantenimento del figlio e pone a carico del padre il 70% delle spese che vengono definite “straordinarie”. La madre ricorre in Cassazione con lo scopo di ottenere un ulteriore incremento del contributo a carico dell’ex coniuge .
La Cassazione rigetta entrambe le domande precisando che la Corte di Appello non avrebbe dovuto far riferimento ai precedenti giudizi né farsi determinare da criteri di “adeguamento automatico” dell’assegno stesso in ragione dell’età del figlio e del miglioramento delle condizioni economiche dei genitori e precisa che la misura dell’assegno deve fare riferimento alle ” effettive e attuali esigenze del figlio”, deve garantire ” al figlio un tenore di vita analogo a quello goduto prima della separazione personale dei genitori” ma sempre in linea con le reali risorse economiche della famiglia
Richiama poi un consolidato parametro in tema di mantenimento della prole, riguardo alle spese “straordinarie” che devono intendersi quelle che, per la loro rilevanza, la loro imprevedibilità e la loro imponderabilità esulano dall’ordinario regime di vita dei figli,” cosicché la loro inclusione in via forfettaria nell’ammontare dell’assegno, posto a carico di uno dei genitori, può rivelarsi in contrasto con il principio di proporzionalità sancito dall’art. 155 c.c. e con quello dell’adeguatezza del mantenimento, nonchè recare grave nocumento alla prole”.
Il parametro delle reali risorse della famiglia, unitamente a quello delle reali esigenze del figlio è oggetto della motivazione dell’ordinanza della Cassazione del 13 marzo 2020. La Corte di Appello riduce l’assegno a favore di una figlia di una coppia non sposata da 700 a 400 euro mensili . La Corte motiva nel senso che la quantificazione del contributo del padre in euro 700,00 determinerebbe quale conseguenza logica in euro 1.400,00 la somma necessaria al mantenimento della minore e tale somma appare eccessiva.
La madre ricorre in Cassazione che accoglie i motivi di ricorso e senza assumere decisioni rinvia nuovamente alla Corte di Appello indicando i parametri a cui attenersi : ” i parametri normativi fissati in materia dall’art. 337 ter c.p.c., comma 4, impongono di determinare il contributo di mantenimento per i figli con riferimento ai ” tempi di permanenza presso ciascun genitore“, al “tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori”, alla “valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore“, oltre che alle “attuali esigenze del figlio“.
La Corte di Cassazione ha evidenziato come riguardo alle “attuali esigenze del figlio” la decisione fosse errata perché non era stata svolta alcuna indagine sulle risorse della madre e non aveva considerato “che il contributo deve essere determinato in base alle “risorse economiche di ciascun genitore”.
Ha quindi statuito che, poiché “nessun cenno, nemmeno per implicito, [era stato] svolto ai suddetti criteri nella sentenza impugnata”, quest’ultima fosse incorsa in una “falsa applicazione dei parametri normativi indicati”.
Il Giudice di legittimità ha accolto il ricorso promosso dalla madre, cassando la sentenza impugnata e rinviando alla Corte d’Appello de L’Aquila, in diversa composizione, per la decisione.